Siamo nell’era azienda vs cliente

È una lotta a denti stretti quella che viviamo oggi, tra azienda e cliente. Altro che Clienti al centro come recitava il famoso libro di Harley Manning e Kerry Bodin, i clienti oggi sono al centro di un ring, in cui devono difendersi da soli da servizi erogati in modo sommario e poco chiaro. Empatia? Chi è questa sconosciuta? È una nuova pietanza di una qualche astrusa dieta simil chetogenica? Comunicazione? Non pervenuta. Ed è sempre colpa del cliente che non ha capito, non ha eseguito alla lettera, non ha chiesto, non si è informato. Difficile non sentirsi un criceto nella ruota che corre corre, nella vana speranza di avere almeno la metà del servizio promesso in uno dei tanti slogan sparati a raffica su locandine sparse per la città, sui siti web e sui canali social. Bisogna cercare, valutare bene un’ azienda prima di affidarsi. Perchè anche l’azienda deve essere in target con le proprie aspettative. Guai a farsi guidare nella scelta dall’ idea dell’ economico e del comodo. Purtroppo molto raramente coincidono con esperienza soddisfacente.

Hey azienda ma che ti è successo? Dove è finita la migliore customer experience che volevi offrire? Abbandonata da qualche parte cosi come quel costosissimo software che hai acquistato per fare user research, profilare e targettizzare?

Troppi clienti da gestire, troppe urgenze, troppo tutto e allora cosa succede? Boom! Esplode tutto, imprenditore e azienda. Perchè il salto di qualità non avviene e ti ritrovi a gestire i soliti clienti a cui basta il servizio basic, ma quelli che ti darebbero vetamente soddisfszione non si avvicinano nemmeno, e se li intravedi, poi desistono.

E allora forse non è il caso di rispolverare quell’idea iniziale, quel software costoso ed iniziare ad educare i tuoi dipendenti ad utilizzarlo? Educare la tua azienda (te stesso e gli altri) all’ascolto del cliente?

Non tralasciare dati che ti dicono i clienti cosa cercano e quali soluzioni tu puoi offrire loro. Non è tempo perso ma è tempo investito. Bene.

Il mercato delle parole scontate

Quando inizi a scrivere per comunicare prodotti e aziende, tuo malgrado, ti imbatti in una marea di parole scontate e commetti inevitabilmente l’errore di utilizzarle fino a che, un giorno, l’esperienza ti fa sentire più sicuro di te stesso e allora le abbandoni del tutto.

Ribadisco che si tratta di un percorso inevitabile, una sorta di rito di iniziazione per entrare nel mondo del content marketing. Quelle parole ti fanno sentire parte di un gruppo e quindi soprattutto all’inizio ti senti bene ad utilizzarle.

Poi passa il tempo, aumenta l’esperienza e quelle parole a cui eri tanto affezionato ti fanno sentire ingabbiato. Ti rendi conto che non sono del tutto efficaci come ti hanno voluto far credere in precedenza. Ora che ti senti più pronto e consapevole puoi utilizzare altre parole, concederti il lusso di sceglierle, fino a spingerti a crearne di nuove.

In questo modo scrivere non ti sembra più un gioco arido, ma uno strumento prezioso nelle tue mani da gestire con estrema cura e attenzione.

Orlando, il protagonista del mio libro, ‘Orlando e il mercato delle parole scontate’, ha la fortuna di essere istruito da uno spirito guida che gli fa toccare con mano, fin da subito, quanto possa essere deleterio il mercato delle parole scontate.

Noi comuni mortali non abbiamo fantasmi guida ad aiutarci ma possiamo evolverci e utilizzare le parole non come semplici tasselli di un puzzle ma come portatori di significato e valore.

Orlando e il mercato delle parole scontate il libro per i copy alle prime armi.

Convincere, accattivare, attirare: sono sufficienti a raccontare l’efficacia del contenuto?

Oggi leggendo un post di Instagram sull’efficacia dei contenuti mi sono imbattuta più volte nel verbo “convincere”.  Parole quali “convincere”, “attrarre”, “persuadere”, “accattivare”, sebbene considerate solo nella loro accezione positiva, sono ancora mancanti di qualcosa per poter pienamente esprimere ciò che intendiamo.

Siamo passati, e  questo è noto anche ai bambini, da un marketing belligerante, che utilizzava termini quali “target”, “colpire”, ad un marketing che potremmo definire della seduzione, quello che ti fa l’occhiolino, che cerca di presentare il prodotto nel suo aspetto più bello, che con le parole cerca di ammaliarti fino a convincerti che lui e solo lui fa al caso tuo.

Attrarre, persuadere, convincere, mi danno la sensazione di essere vicini a ciò che vorrebbero dire, ma di non riuscire a renderlo appieno. Di sicuro tra gli esperti del settore questi termini sono sostituiti da altri più consoni, ma nella maggior parte dei casi, sui profili social di chi si occupa di content marketing essi trovano ancora largo utilizzo.

Forse fino ad ora il mio discorso non è stato proprio chiarissimo. Cercherò di spiegarmi. Siamo tutti d’accordo sull’importanza del contenuto nel marketing, giusto? Siamo d’accordo che senza di esso le aziende non venderebbero più, giusto? Ma questa potenza del contenuto come la raccontiamo? Che tipo di storytelling creiamo per far capire agli altri l’efficacia del contenuto?

Con le seguenti parole: “Il contenuto, attraverso leve persuasive, ha l’obbiettivo di convincere il lettore all’acquisto di un prodotto/servizio”. Lo abbiamo definito in poche parole come la scia di un profumo che determina la sensualità di una donna e fa girare gli uomini a guardarla, o come un reggicalze a malapena celato da una gonna troppo corta che attrae  il maschio alfa. Per dirla più terra terra: c’è il prodotto che da solo non ce la fa a posizionarsi, e allora noi con il contenuto gli diamo una bottarella  affinché il cliente si convinca che acquistarlo è una cosa buona.

Questo è quello che effettivamente comunichiamo, quando parliamo di efficacia di un contenuto per vendere un prodotto/servizio. Ma nella realtà cosa vorremmo davvero comunicare? Il contenuto non convince, non attrae, non persuade, il contenuto è lo strumento attraverso il quale l’azienda crea un legame fortissimo con il cliente, in quanto compie tre azioni fondamentali:

  • informa
  • educa
  • intrattiene

Informare il cliente dei possibili benefici che ne trae acquistando un prodotto, educarlo all’utilizzo di quel prodotto per trarne il massimo vantaggio, intrattenerlo affinché ricordi l’esperienza come entusiasmante: tutto questo non può essere ridotto ad uno storytelling della seduzione, che si basa sul convincimento e sull’attrazione.

Se vogliamo esprimere a pieno l’efficacia del contenuto adottiamo termini che rendano meglio tutto quello che effettivamente fa il contenuto:  ascoltare i bisogni dei clienti, informarli su possibili soluzioni, educarli su come possono utilizzare al meglio un prodotto/servizio, aiutarli a fare la scelta giusta, intrattenerli per rendere la loro esperienza di acquisto la più soddisfacente possibile.

E questo se ci soffermiamo ad analizzare solo una parte del contenuto, quello del blog ad esempio, o dei testi di un sito o della descrizione del prodotto. Poi c’è il contenuto che funge da guida per l’utente che approda su un sito, caratterizzato dai microtesti, piccole porzioni di testo in grado di facilitare la navigazione di un sito all’utente permettendogli di raggiungere il proprio obiettivo, sia esso compilare l’iscrizione ad una newsletter, effettuare il download di un ebook, completare l’acquisto.

Vista così la seduzione è solo una piccolissima parte dell’efficacia del contenuto e sta tutta nella scelte delle parole utilizzate, del tone of voice, del modo in cui decidi di parlare ai tuoi clienti, ai tuoi utenti. Ma non è solo questo, è qualcosa di più complesso che mira a creare rapporti solidi e non relazioni da una notte e via, per intenderci :-))

Contenuti unici: salviamo questa frase dall’abuso

Ho seguito di recente alcuni corsi sul blogging e copywriting e sulla comunicazione e ho riscontrato un unico comune denominatore: sottolineare l’importanza di costruire contenuti unici.

Unicità dei contenuti è una delle frasi più gettonate e forse sta diventando uno di quei modi di dire destinati all’abuso, e allo svuotamento del suo significato. Produrre un contenuto unico che non faccia il verso a chi lo ha già scritto da tempo non è da tutti.

Quando inizi a lavorare nel mondo della comunicazione, incominci a guardarti intorno, a vedere quali contenuti producono  i guru del web. Inizi così a cavalcare l’onda di un contenuto vincente già proposto da altri. Se sei bravo con il personal branding e ad instaurare relazioni online con chi è del settore, incominci ad avere la tua cerchia di clienti. Sopraffatto dalla routine lavorativa, assorbito totalmente dalle scadenze, cerchi di rimanere a galla e i tuoi buoni propositi di creare contenuti unici vanno a farsi benedire. Certo, per i tuoi clienti, un minimo di unicità cerchi di mantenerla, perché sei un professionista, ma quel tanto che basta a chi non è del settore per essere soddisfatto e a te, come lavoratore, per affermare di aver fatto il tuo in modo onesto e pulito.

Impostare la propria professione in questo modo ti costringe a stare dietro ad ogni novità, ad ogni contenuto unico proposto da altri. E così passi il tempo a rincorrere clienti, a rincorrere gli ultimi aggiornamenti nel campo della comunicazione, a rincorrere i profili social su canali nati di recente che stanno diventando di successo. Un’eterna corsa.

Più o meno se ti va bene va in questo modo, anzi no se ti va così ti va alla grande. A dispetto di tutto e tutti hai fatto della tua passione un lavoro con il quale ci campi pure.

Nel bel mezzo della carriera professionale ti balena pure l’ idea di realizzare un ebook, un video tutorial, un mini corso sulla comunicazione o di essere invitato a partecipare ad una conferenza che ti viene proposta proprio da uno di questi guru del web con i quali, grazie al tuo personal branding impeccabile, hai costruito un’ottima relazione. Sei chiamato a formare nuove menti, coloro che come te quando hai iniziato a muovere i primi passi, ti guardano come custode della verità assoluta della comunicazione. E cosa proponi a questi speranzosi giovani come momento formativo più importante? La risposta è ovvia: l’importanza di costruire contenuti unici.

E i tuoi contenuti unici dove sono finiti? Si sono persi forse nel mentre che cavalcavi l’onda del successo inseguito già da altri e pensavi “se è andata bene per loro perché non dovrebbe andare bene pure per me?”. Oppure sono andati perduti mentre ascoltavi i tuoi clienti e propinavi loro il piano editoriale strutturato dove nulla è lasciato al caso e spazio per l’originalità ce n’è poco?Pardon, per l’unicità. Perché l’originalità può portare in sé connotazioni negative, quali voler apparire diverso a tutti i costi, rasentando il ridicolo.

Si parla di unicità, ovvero il tuo unico e solo io produce qualcosa di meraviglioso per gli altri, e in quanto tale è diverso da qualsiasi altra persona. Il tuo contributo al miglioramento della comunicazione di cui tanto si parla qual è?

Il tassello mancante che tu e solo tu potevi, potresti, puoi aggiungere al mondo della comunicazione dov’è finito?

Ma tutto questo non è colpa tua. Anzi significa che sei entrato talmente bene nel sistema che non hai bisogno di metterlo in discussione, non hai l’esigenza, l’urgenza di scardinarlo per renderlo migliore. Vuol dire che hai trovato l’habitat lavorativo giusto per te. E di questo non puoi che esserne felice.

Però allora non tiriamo in ballo il concetto di unicità sempre e in ogni dove pur di sembrare originali. Perché a buttarla sempre lì la parola unicità, legata ai contenuti, commettiamo il solito abuso di qualcosa che può essere ancora salvato da un triste destino.

L’unicità va raccontata come un percorso lungo e faticoso che richiede tempo, costanza, impegno e tanta solitudine. Produrre un contenuto unico significa nella reale maggior parte dei casi che esso non venga capito subito perché in quanto unico non ha termini di paragone. Se li avesse non sarebbe tale.  Significa avere il coraggio di mettersi in gioco, ogni giorno, sperimentare. Peccato che tutte queste parole siano abusate e come al solito cadano nel nulla, perché prive di significato.

Provo allora a dirle in un altro modo. Produrre un contenuto unico significa andare a tentoni nel buio più pesto che c’è, non avere punti di riferimento, provare e riprovare fino a quando esso non venga accettato dalla platea. Vuol dire riuscire a creare un bisogno nel tuo pubblico che prima non sapeva di avere o quantomeno non aveva il coraggio di dichiararlo.

Mente aperta, duttile, che contempla l’errore e anche la delusione e la solitudine e la capacità di perseguire un obiettivo con costanza.

Raccontare il contenuto unico in questo modo può avere un senso. Non si smetterà mai di averne bisogno. I contenuti unici sono boccate di ossigeno, aprono la mente che si concentra su percorsi non comuni.

Per parlare di unicità e proporla come possibile occasione per avere successo nel proprio lavoro o per fare un lavoro soddisfacente bisogna partire da sé stessi e proporsi come modello, con  il proprio esempio.

Salviamola questa parola dal suo triste e inesorabile destino: che l’unicità resti tale e con essa anche il contenuto.