Siamo nell’era azienda vs cliente

È una lotta a denti stretti quella che viviamo oggi, tra azienda e cliente. Altro che Clienti al centro come recitava il famoso libro di Harley Manning e Kerry Bodin, i clienti oggi sono al centro di un ring, in cui devono difendersi da soli da servizi erogati in modo sommario e poco chiaro. Empatia? Chi è questa sconosciuta? È una nuova pietanza di una qualche astrusa dieta simil chetogenica? Comunicazione? Non pervenuta. Ed è sempre colpa del cliente che non ha capito, non ha eseguito alla lettera, non ha chiesto, non si è informato. Difficile non sentirsi un criceto nella ruota che corre corre, nella vana speranza di avere almeno la metà del servizio promesso in uno dei tanti slogan sparati a raffica su locandine sparse per la città, sui siti web e sui canali social. Bisogna cercare, valutare bene un’ azienda prima di affidarsi. Perchè anche l’azienda deve essere in target con le proprie aspettative. Guai a farsi guidare nella scelta dall’ idea dell’ economico e del comodo. Purtroppo molto raramente coincidono con esperienza soddisfacente.

Hey azienda ma che ti è successo? Dove è finita la migliore customer experience che volevi offrire? Abbandonata da qualche parte cosi come quel costosissimo software che hai acquistato per fare user research, profilare e targettizzare?

Troppi clienti da gestire, troppe urgenze, troppo tutto e allora cosa succede? Boom! Esplode tutto, imprenditore e azienda. Perchè il salto di qualità non avviene e ti ritrovi a gestire i soliti clienti a cui basta il servizio basic, ma quelli che ti darebbero vetamente soddisfszione non si avvicinano nemmeno, e se li intravedi, poi desistono.

E allora forse non è il caso di rispolverare quell’idea iniziale, quel software costoso ed iniziare ad educare i tuoi dipendenti ad utilizzarlo? Educare la tua azienda (te stesso e gli altri) all’ascolto del cliente?

Non tralasciare dati che ti dicono i clienti cosa cercano e quali soluzioni tu puoi offrire loro. Non è tempo perso ma è tempo investito. Bene.

Orlando e il mercato delle parole scontate il libro per i copy alle prime armi.

Orlando e l’attesa dell’email


Orlando tornò a casa nel primo pomeriggio, totalmente adrenalinico. La madre non lo riconosceva, sembrava un invasato mentre raccontava del colloquio, del suo primo progetto a cui aveva lavorato, della soddisfazione di Filippo nel leggere le sue parole, proprio quelle scritte da lui.
Raccontò tutto per filo e per segno e quando la madre gli chiese del tipo di inquadramento, dello stipendio lui rispose con tanta pazienza con le stesse parole di Filippo, specificando che ora non era semplicemente uno stagista, ma addirittura il co-fondatore.
“La stima che mi sono guadagnato è tale, mamma, che a breve firmerò un contratto di socio co-fondatore, di una grande azienda.”
La madre spinta dal tipico istinto ancestrale che appartiene a tutti i genitori, si fece solo promettere dal figlio che avrebbe fatto leggere il contratto al loro commercialista prima di firmarlo e che non avrebbe cacciato soldi di tasca sua.
Orlando la guardò con occhi benevoli, e pur di non farla preoccupare acconsentì pensando tra sé e sè: “Non appena i guadagni della mia agenzia saranno corposi, vado a vivere da solo.”
Basta, bisognava tagliare quel cordone ombelicale. Oramai aveva 25 anni, doveva lanciarsi nel mondo degli adulti.
Dopo aver scaricato l’adrenalina, non gli rimase che attendere la famosa email contenente il contratto.
Attese un pomeriggio, una sera e una notte. Dell’email nessuna traccia. L’indomani decise quindi di uscire a fare una passeggiata: aveva bisogno di distrarsi nell’attesa del grande momento. “Del resto si sa, le cose belle arrivano quando meno te l’aspetti.”
Dopo la passeggiata decise di portarsi avanti con il lavoro e si mise al pc alla ricerca degli ultimi spot di successo per rieditarli, pratica questa che lo faceva sentire sicuro, lo calmava.
Passò nel frattempo un altro pomeriggio, un’altra sera e un’altra notte. Dell’email dalla Big Agency Communication nemmeno l’ombra.
Era giunto il weekend e lì smise di aspettare perché sapeva benissimo che di sabato e di domenica non si inviavano contratti. Tuttavia giusto per essere sempre sul pezzo una sbirciatina all’email, un paio di volte, non disdegnò di darla.
La domenica gli sembrò interminabile. Aveva esaurito tutti gli amici a cui raccontare della sua grande esperienza lavorativa, e la pratica di riscrivere pubblicità già fatte da altri, gli sembrò all’improvviso un’esercitazione puerile, soprattutto dopo che aveva sperimentato cosa significasse lavorare per davvero. Certo era stato solo un payoff, ma era sempre un buon inizio visto che lo aveva portato a diventare un socio di un’agenzia di comunicazione.
Orlando il lunedì seguente era in piedi dalle 6.00 del mattino ed era carico di aspettative. Con la sua tazza di latte caldo tra le mani si immaginava il momento preciso in cui sarebbe arrivata la fatidica email. Di sicuro lo avrebbe colto di sorpresa, come tutte le cose meravigliose.
Era una bellissima giornata, il cielo era terso e tutto il cosmo sembrava gridargli che quel giorno sarebbe stato il gran giorno.
Dalle 9.00 in punto incominciò a controllare l’email, circa ogni 5 secondi. Si fece così ora di pranzo, e in quell’oretta in cui fu costretto a stare lontano dal pc si sentì decisamente a disagio.
Verso le 14.00 con in bocca ancora l’ultimo morso di mela si riposizionò davanti allo schermo e controllò. Incominciò a spazientirsi. Quella maledetta email non ne voleva sapere di arrivare. Eppure Filippo lo aveva lasciato con un sorriso soddisfatto e una stretta di mano. Certo se era andato così bene avrebbe potuto farglielo firmare anche direttamente lì il contratto. E invece no con l’idea di inviarglielo via email aveva dimostrato di avere un grande rispetto nei suoi confronti, dandogli del tempo per leggerlo in tutta tranquillità.
Nel frattempo il pomeriggio diventò sera, la sera notte e il lunedì svanì con tutte le sue belle speranze.
Martedì ore 6.00 Orlando era nuovamente in piedi e dato che aveva una capacità di autoricaricarsi in positivo, era di nuovo lì in trepidante attesa della fatidica email.
La mattina volò via perché nel controllo forsennato dell’email aveva notato un’altra offerta di lavoro interessante e poiché una vocina interiore gli diceva che forse era il caso di guardarsi anche attorno, aveva deciso di inviare il curriculum per candidarsi.
Gli era inoltre arrivata la notifica che l’ultimo libro sul copywriting era disponibile in libreria, per cui dopo aver fatto il suo dovere di aspirante copy in cerca di lavoro, decise di ascoltare il richiamo del libro nuovo di zecca.
Il pomeriggio ritornò alla sua email, ma più passava il tempo più si rendeva conto che forse aveva mal riposto le sue aspettative nella Big Agency Communication. A mente più lucida, a mano a mano che l’effetto ipnotico di Filippo scemava, rivalutò la location, davvero piccola, e d’un tratto l’adesivo sulla porta d’ingresso gli sembrò estremamente ridicolo. Quando pensò al concetto ‘nomad worker’ riuscì perfino a riderci su. Per cui il mercoledì seguente, la Big Agency Communication era solo un vaghissimo ricordo.
Ciò che invece gli era rimasto impresso era l’adrenalina del momento della realizzazione del payoff, quella non l’aveva dimenticata e avrebbe fatto di tutto per farla una costante del suo futuro lavoro, che con grande gioia della madre, non sarebbe stato alla Big Agency Communication.

Utilizzo di termini tecnici nella formazione: la storia del toast

 

La maggior parte dei partecipanti inizialmente ha riso, pensando che si trattasse di una battuta. Dopo un po’ però, poiché alla nostra ilarità non corrispondeva quella del docente, abbiamo capito che non stava scherzando affatto, ed è calato improvvisamente un silenzio imbarazzante su tutta l’aula. Credo che tutti, compresa la sottoscritta, in quel momento si siano sentiti abbastanza stupidi per aver frainteso ciò che diceva l’insegnante, tra l’altro con una tale naturalezza, da far sembrare chiunque non capisse un perfetto deficiente.

Fortunatamente, il suo accompagnatore in un moto di ascolto empatico, resosi conto dell’incomprensione da parte dei più, ci ha spiegato che questo benedetto toast altro non era che la notifica della ricezione di un messaggio e ci ha indicato dove la potevamo visualizzare. Ha anche aggiunto che si chiama così in quanto compare dall’alto verso il basso come quando salta il toast in un tostapane.

Ovviamente, trattandosi di platea giovane abbiamo iniziato a riderci su, facendo battute cretine sul toast, che avremmo preferito riceverlo su un piatto, che lo volevamo al prosciutto ecc… Battute sciocche, perché l’incomprensione a volte, fortunatamente, genera ilarità.

L’episodio del toast mi ha condotto ad alcune riflessioni:

  1. il tempo impiegato a chiarire un termine tecnico non compreso dai partecipanti è tempo sprecato
  2. quando il termine tecnico può essere sostituito con un termine di uso comune è doveroso utilizzare il secondo
  3.  i docenti che utilizzano termini tecnici hanno paura che il proprio ruolo venga minato.

Analizziamo i tre punti:

  1. Valuta il tempo di apprendimento

Non dare per scontato il tempo di apprendimento di un’aula. Puoi trovarti di fronte partecipanti che masticano un po’ della tua materia e allora sarà tutto più scorrevole, così come puoi trovarti di fronte persone che sono lontane mille miglia da quello che stai dicendo loro e hanno bisogno di più tempo per seguirti. I termini tecnici contribuiscono ad allungare quel tempo, soprattutto nel secondo caso. Ecco perché è buona norma utilizzarli solo se è proprio necessario.

2. Fai la scelta del termine giusto

Quando ti trovi davanti alla scelta tra un termine tecnico e uno di uso comune, il secondo è quasi sempre la scelta vincente. Ovviamente dipende dal contesto. Ma se ti trovi davanti ad una classe che non mastica la tua stessa lingua puoi incappare in silenzi imbarazzanti e dover ripetere un passaggio più di una volta. Se il termine tecnico, come nel caso del toast, è legato ad un aneddoto simpatico da raccontare, lo puoi menzionare, ma sempre dopo esserti accertato che i partecipanti abbiano capito davvero di cosa stai parlando.

3.  Non temere che il tuo ruolo venga minato

Il tuo ruolo verrà maggiormente riconosciuto quando sarai in grado di far capire a tutti la tua materia. Fare colpo con termini tecnici non ti aiuterà molto e rischi che la classe ad un certo punto non ti segua più.

Posso capire questo atteggiamento da chi è all’inizio. Ma la sicurezza acquisita nel tempo dovrebbe farti cambiare idea sul reale successo del tuo corso: esso va valutato in base alla tua capacita di rendere comprensibile ciò di cui stai parlando e non sull’abilità di darti un tono, utilizzando termini tecnici e poco chiari.

Cerca di rendere i tuoi corsi i più chiari possibili, non abusare di termini tecnici che in alcuni casi possono  rovinare la fluidità dell’apprendimento e compromettere il clima di condivisione instaurato con la tua classe. Valuta il successo del tuo corso in base al coinvolgimento che sei riuscito a creare e al risultato di apprendimento che sei riuscito ad ottenere.

 

Formazione: quanto conosci la tua platea?

Un corso va impostato e gestito tenendo conto di diversi fattori che reputo fondamentali:

  • il pubblico non è sempre lo stesso
  • il corso non è stato scelto dai corsisti
  • ci sono dei sabotatori
  • non tutte le tematiche trattate coinvolgeranno il pubblico

Il pubblico cambia in base al contesto che ti accingi ad approcciare, cambia in base alla nazionalità, all’impostazione aziendale, all’età media dei lavoratori e via discorrendo. Tenere in considerazione queste differenze ti aiuta ad impostarlo nel modo più efficace possibile.

Le aziende il più delle volte impongono corsi che non trovano grande consenso tra i dipendenti. Molte aziende ad esempio per vanagloriarsi di essere innovative sottopongono i propri dipendenti a corsi digital per i quali non sono assolutamente pronti. Altre invece, nonostante abbiano lavoratori più che pronti ad affrontare tematiche specifiche di un determinato settore che consentirebbero loro di fare un upgrade professionale, continuano a  proporre loro corsi non in linea con le esigenze reali.

Tenere conto di questi fattori ti aiuta a dare il giusto indirizzo al tuo corso, a capire quale delle tematiche su cui lo hai impostato deve essere spinta maggiormente e quale invece puoi anche mettere da parte, perché avrà un effetto controproducente sull’atmosfera che si è creata in classe.

Ciò che è fondamentale, subito dopo che ti sei presentato, è capire la tua classe, percepire l’umore generale e comportarti di conseguenza. Se sei alle prime armi non commettere l’errore di presumere di trovarti di fronte ad un’aula di professionisti che nella migliore delle circostanze sarà motivata, nella peggiore simulerà interesse. Non c’è niente di più sbagliato. Il fatto stesso di riunire un gruppo di adulti dai 30 in su, in un’aula, li farà regredire all’età scolastica. Poiché questa formazione è anche gratis, quindi non hanno dovuto sudare per averla, saranno anche polemici, con la puzza sotto il naso, con il classico atteggiamento di chi avrebbe potuto fare centomila cose migliori di quella che l’azienda e tu lo state costringendo a fare. Ti troverai di fronte ad una tipica classe liceale con il primo della classe, quello che deve fare sempre e comunque bella figura, il leccapiedi che ti lusingherà su ogni cosa che dirai, il bullo della classe che ti farà capire subito che lui è il più forte e che ti sta concedendo proprio un gran favore a stare insieme a te. Ci sarà quello timido, il taciturno e il disinteressato. Se ti vengono altri esempi di tipologie di alunni dai 10 anni ai 18, metticeli perché di sicuro li incontrerai.

Le prime volte sarai abbastanza sconvolto e ringrazierai il tuo dio di essere arrivato a fine corso e ti riprometterai di non accettare più incarichi da quell’azienda. Per fortuna poi le cose cambiano.

Tu cambi e di conseguenza il tuo approccio. D’improvviso entrare in un’aula non ti fa più paura, non sei più intimorito dalla platea e soprattutto hai imparato la lezione: prima di partire con il corso devi conoscere le persone che ti stanno di fronte, sondare la loro volontà di apprendere e partecipare, cercare di capire chi ti  può sabotare e chi no.

Un paio di anni fa ho partecipato ad un corso e devo riconoscere che la formatrice era una davvero tosta, di quelle con gli attributi. All’interno dell’aula c’era il classico bullo che non vedeva l’ora di mettersi in mostra e creare disturbo. La signora, di un’eleganza innata, ha iniziato a giocare una metaforica partita di tennis con questo bullo, per cui ad ogni frase polemica, ad ogni opinione espressa per creare disagio, rispondeva senza scomporsi e metteva a segno un punto. Il bullo, oggettivamente in difficoltà, non si rendeva conto di essere perdente sin dall’inizio, e lei per disorientarlo ancora di più, di tanto in tanto gli concedeva delle simil-vittorie, annuendo a ciò che diceva. Il tempo però che questi abbassava la guardia, la formatrice metteva a segno un altro punto.

Alla fine erano diventati grandi amici, in quanto il bullo aveva iniziato a capire che qualsiasi cosa avesse detto o fatto non ne sarebbe uscito vincente. Morale della favola: la formatrice aveva colto la sfida, non aveva ignorato il bullo, sapendo di poter gestire la situazione e, dopo aver messo a segno un paio di colpi, ne era uscita a testa alta riuscendo a coinvolgere quello che in quel momento era il sabotatore del suo corso.

Ciò che ha sempre suscitato la mia ammirazione è l’abilità del formatore di saper reimpostare il corso durante la lezione stessa, spingendo sulle tematiche che creano maggiore interesse, senza battute di arresto  e senza che la classe se  ne renda conto. Se non ti sei dato da fare ancora in questo senso, ti consiglio di farlo subito.

Di solito succede questo: durante un corso, dopo un momento in cui la tensione è alta, dove tutti i partecipanti hanno raggiunto il massimo del coinvolgimento il docente dice: “A questo punto avrei voluto farvi vedere determinate slide, ma preferisco andare oltre e passare direttamente a…”. Questo è il classico esempio di chi è molto attento alla recezione della sua classe, si rende conto di aver raggiunto il massimo dell’attenzione e del coinvolgimento e per non perderle continua sulla strada che ha scaldato gli animi.

A questo punto potrai rispondermi: “Già è tanto che sono riuscito a coinvolgere i partecipanti, figuriamoci se riesco pure a reimpostare il corso…”

E su questo non ti posso dare che ragione. Il coinvolgimento è una gran bella sfida ed ho già pronto un suggerimento per te.

Ciò che scalda maggiormente gli animi dei partecipanti è la capacità di rapportare le materie proposte dal corso alla realtà lavorativa. Ecco perché un bravo formatore studia sempre il settore presso il quale farà formazione. Fare esempi calzanti serve ai corsisti a prendere subito confidenza con la materia del corso, accresce il coinvolgimento e la partecipazione. Invoglia il tuo pubblico a dire la propria opinione sull’utilità di applicazione di quella tematica nel proprio lavoro.  Le varie considerazioni possono essere fondamentali per migliorare l’impostazione del tuo corso.

In definitiva ciò che ti viene chiesto in assoluto durante un corso, è l’ascolto attivo. Perché? Perché ti rende sensibilissimo alla tua classe aiutandoti a gestirla nel modo migliore. Non sempre si è dotati di un carattere carismatico in grado di trascinare le folle, e di creare consenso immediato. Però si può essere degli attenti ascoltatori e questo può aiutarti nel creare il tuo approccio personalizzato.

La formazione come tutti gli altri mestieri è una attitudine che si può sviluppare ed implementare nel corso del tempo. Io, ad esempio, sono figlia di una professoressa di matematica, per cui ho sviluppato dall’adolescenza in poi un rifiuto nei confronti dell’insegnamento. Non avrei mai detto che un giorno mi sarei trovata nella condizione di dover formare colleghi sull’utilizzo di alcuni software e app.  Sono rimasta a dir poco sconvolta quando uno di loro mi ha detto “Avresti dovuto fare l’insegnante, sei proprio brava.”

Formare, educare, diventano una vocazione quando tu credi in quello che stai insegnando e per trasmetterlo a chi ti sta di fronte cerchi le strade migliori affinché la tua materia venga compresa senza troppi sforzi e nei casi migliori venga amata come la ami tu.

 

 

 

 

Come gestire al meglio la formazione aziendale

Di recente ho frequentato dei corsi di formazione e di tanto in tanto mi capita di formare alcuni colleghi su app o software. Entrambe le esperienze come formatore e come alunna mi hanno spinta ad alcune riflessioni su come potrebbe essere gestita al meglio una classe durante la formazione aziendale.

Innanzitutto va fatta una premessa: la classe che ti accingi a formare è lo specchio dell’azienda stessa. Ne rappresenta lo stato di salute. Durante un corso è possibile che emergano quindi conflitti, sentimenti di rancore, polemiche o, in caso positivo, alto coinvolgimento da parte dei partecipanti, interessamento alla materia.

L’attenzione alla platea di partecipanti quindi è per te fondamentale. La classe può inoltre celare delle sorprese, come ad esempio qualcuno che ha una formazione personale sulla materia del tuo corso. Queste persone non vanno viste come minacce ma vanno coinvolte subito per aumentare il coinvolgimento dell’intera classe.

Durante la formazione aziendale è difficile  che tutti partecipanti siano attivi e motivati.

Tra i partecipanti ci sarà chi pensa che il tuo corso non serva a molto e lo dimostra in maniera  palese. C’è chi invece è interessato e lo troverai estremamente coinvolto. Ancora più difficile se all’interno del tuo corso ti troverai persone appartenenti a ruoli gerarchicamente diversi, capo e sottoposto, ad esempio. Percepirai una tensione che difficilmente riuscirai a spezzare.

Cosa fare per affrontare una platea così eterogenea? Di seguito alcuni tips che credo siano utili:

1. Resta concentrato sul corso

La gestione degli off topic è nelle tue mani e non in quelle della classe. Puoi consentirli nella misura in cui sono in qualche modo pertinenti con l’argomento e se sono di durata breve.

2. Accetta il dissenso e sfruttalo a tuo vantaggio

Il consenso adula, ma è sul dissenso che devi lavorare maggiormente. Innanzitutto perché saranno più i casi in cui ti troverai di fronte ad una classe disinteressata rispetto a quelli in cui avrai partecipanti attivi. Ricorda però, che coinvolgere una persona inizialmente restia, ti costerà più fatica, ma poi produrrà un clima energico in tutta la classe.

3. Ammetti la tua ignoranza e chiedi conferma

Se ti trovi a fare formazione in un settore che conosci poco, prima di azzardarti a fare esempi pertinenti, chiedi se sono giusti. In questo modo aumenterai il grado di coinvolgimento della tua classe.

4. Alimenta il dibattito, frena la discussione

La condivisione di opinioni, esperienze in merito all’argomento da te trattato può essere un buon segnale. Vuol dire la platea è interessata all’argomento. Fai attenzione però a non far degenerare un tranquillo confronto in una rovente discussione.

5. Non usare termini tecnici

I termini tecnici quando sono ristretti ad una nicchia possono risultare di difficile comprensione e porre distanze tra te e i partecipanti, creando un clima freddo e distaccato. Usali proprio quando non ne puoi fare a meno.

6. Accogli i suggerimenti

Le persone durante l’apprendimento di una nuova materia, se motivate, fanno domande che possono aiutarti a migliorare il corso. Non sottovalutarle. Anzi prendile come utili suggerimenti.

7. Mostrati appassionato

Quando fai formazione c’è un elemento che fa una grande differenza: la passione. Quando trasmetti passione puoi essere sicuro di aver trasferito la cosa più importante. Gli approfondimenti possono essere anche eseguiti per conto proprio. La condivisione della passione non ha prezzo.

8. Sii accogliente e mai superiore

Ciò che mette un freno alla riuscita di un corso è proprio il tuo atteggiamento. Se ti mostri superiore, se pensi che la tua classe debba seguirti senza indugi certo di fornirle tutte le informazioni di cui hai bisogno, sei sulla strada sbagliata. È importante mostrarsi aperto alle domande anche a quelle più stupide, utilizzare un linguaggio semplice. In questo modo i partecipanti non si sentiranno a disagio e non percepiranno distanze.

9. Fai esempi concreti

Per rompere il ghiaccio e per rendere la materia del tuo corso meno ostica, riportala, se ti è possibile, alla realtà aziendale che stai formando. Fare esempi pratici di utilizzo di ciò che stai insegnando aiuterà la classe a capire subito in che modo quello che sta apprendendo potrà esserle utile durante le ore di lavoro.

Conclusioni

Formare realtà aziendali non è un gioco da ragazzi, ma si possono ottenere grandi risultati con un approccio che tiene conto dei partecipanti e delle loro esigenze.

 

 

 

 

Autodifesa verbale: la comunicazione è un invito non un obbligo

 

E’ da un paio di giorni che sto leggendo questo libro: “Piccolo manuale di autodifesa verbale” di Barbara Berckhan e lo trovo davvero interessante. Le tecniche di cui parla l’autrice all’interno del suo manuale, ispirate all’aikido, non solo si possono mettere in pratica in modo molto semplice, ma sono utilissime nei rapporti interpersonali, con amici e parenti, e soprattutto sul lavoro. Due sono gli argomenti che mi hanno maggiormente coinvolta:

  • l’interazione giusta con una persona arrogante
  • come non rispondere alle provocazioni.

L’arrogante e la storia del bambino che vuole sembrare più alto

Prima o poi capita a tutti di dover interagire con un arrogante, con colui o colei che sa tutto, che non ha bisogno di spiegazioni, sorrisi, delle normalissime interazioni di noi comuni mortali, ma esige solo di essere servito all’istante. Chi per mestiere lavora a contatto con il pubblico, dopo un po’ impara a riconoscere immediatamente se la persona che ha davanti a sé è un arrogante.

Nella persona arrogante il linguaggio verbale e non verbale sono in una perfetta coerenza: non sorride, non guarda negli occhi il suo interlocutore e se lo fa, gli riserva solo sguardi sprezzanti, rigido nel portamento, dai modi a dir poco scostumati, non saluta, utilizza un linguaggio diretto, autoritario, sbrigativo, come farebbe con un suo servo.

Perché ci sono persone che sentono l’esigenza di far sentire gli altri delle nullità? Perché non si può interagire con loro in maniera educata, cortese, con i modi imposti da un normalissimo senso di civiltà? Beh la risposta è semplice: vogliono sentirsi i più bravi del mondo e l’unico modo che conoscono è quello di far sentire inferiori gli altri.

Trattare con clienti del genere non è facile. Occorre armarsi di tanta pazienza e professionalità e il più delle volte non basta. Essi innescano un circolo vizioso di negatività che subito dopo che te ne sei liberato, hai a tua volta necessità di sfogarti con qualcuno. L’autrice allora consiglia di indossare un naso da clown, metaforicamente parlando ovviamente, per ridimensionare l’atteggiamento dell’arrogante e porre l’interazione con lui in una prospettiva ironica.  L’autrice paragona la persona arrogante ad un bimbo che per sembrare più alto sale sulla sedia e inizia ad urlare: “Hai visto quanto sono alto?” Ora l’arroganza è la sedia su cui è salita quella persona per urlare al mondo: “Hai visto che sono la più brava?”

Come contrastare l’arrogante con il principio delle arte marziali: seguire l’altro e rafforzare

L’autrice suggerisce di adottare un principio delle arti marziali per affrontare un arrogante: segui l’altro e rafforza.

Immaginate uno scontro fisico; il vostro avversario si sta scagliando contro di voi, voi invece di opporgli resistenza vi spostate leggermente di lato, gli afferrate il pugno e lo spingete nella direzione in cui sta andando. Non trovando nessuna resistenza si sbilancerà e cadrà.

Come si tramuta questo insegnamento a livello verbale? L’arrogante vuole dimostrarvi di essere ferrato in un determinato argomento: rafforzate questa sua esigenza, non contrastatela.  Mostrategli il vostro apprezzamento per la sua conoscenza, congratulatevi con lui per essere così esperto di un determinato settore. In questo modo lo coglierete alla sprovvista perché, mentre lui è pronto alla sfida e alla provocazione, la vostra reazione positiva lo lascerà di stucco e gli farà perdere l’equilibrio.  Due le precisazioni che l’autrice fa a questo punto e poiché le condivido appieno ve le ripropongo:

  1. Non esagerate con gli elogi, soprattutto se si tratta del vostro posto di lavoro. Disinnescare un comportamento arrogante o una provocazione da parte di un cliente va bene, ma dargli l’impressione che lo state prendendo in giro non è consigliabile.
  2. La guerriglia adulatoria non è eticamente scorretta? No quando serve a riequilibrare un rapporto che altrimenti penderebbe tutto dalla parte dell’arrogante. Il complimento inaspettato serve solo ad abbattere il muro di arroganza del vostro interlocutore e a rasserenare gli animi.

Come non rispondere alle provocazioni: la comunicazione è un invito e non un obbligo

Quando ho letto questa frase “la comunicazione è un invito non un obbligo” mi si è aperto un mondo. Io che sono un animo mite, amante della tranquillità, ho sempre temuto e quasi invidiato le persone che conoscono un’unica strada, quella di rispondere alle provocazioni. Di solito io sono tra quelle che evita la discussione, soprattutto quando capisco che l’avversario vuole mettere in atto del vero e proprio bullismo. Lascio correre, ignoro, esco dalla stanza e via discorrendo.

Beh scoprire che questa è una delle tecniche consigliate dall’autrice per disinnescare il bullo del momento è stata per me una grande vittoria .  Mi è capitato di recente di avere un confronto con una persona, la quale voleva convincermi a tutti i costi di quanto mi sbagliassi riguardo ad alcuni nostri amici in comune. In poche parole mi stava imponendo il suo modo di pensare, sottintendendo che il mio era stupido e sbagliato. Poiché la persona in questione è avvezza alle provocazioni e alla manipolazioni verbali, mi aspettavo una guerriglia molto accanita nei miei confronti. E così è stato all’inizio della nostra conversazione. Ad un certo punto della discussione, però, mi sono fermata un attimo e mi sono detta: “Ma avrò pure il diritto di pensarla diversamente oppure no?” Allora mi sono girata verso il computer, facendo finta di fare delle cose per lavoro, le ho dato le spalle, ed ho iniziato ad ignorarla.  Lei ha cercato di riavvicinare le distanze, posizionandosi alle mie spalle, con fare incombente, mentre  continuava a vomitarmi addosso tutti i suoi perché e per come tizio e caio fossero bravissimi mentre io ero scema a pensare male di loro e ad osannare altre persone che, al contrario, lei considerava deficienti. Dopo un po’ che le rispondevo a monosillabi: “Ah ah” oppure “mmmm”, ha capito, si è girata ed è andata via.

La comunicazione non è un obbligo. Se il nostro interlocutore ci sta provocando, il suo è sempre e solo un invito che noi possiamo tranquillamente accettare o rifiutare. Non siamo assolutamente obbligati a rispondere.

Buona comunicazione a tutti