Il pericolo di utilizzare modi di dire e frasi fatte in un romanzo

Correre più veloce della luce, imprecare come il peggiore dei camionisti, chi si accontenta gode, fare un’eccezione, buttarsi a capofitto: queste sono le frasi che ho letto nelle primissime righe di un libro. Ad un certo punto la mia attenzione è andata scemando, infastidita dalla compresenza di modi di dire e frasi fatte. Il testo ha preso una rincorsa verso la banalità penalizzando una tematica quella amorosa, che già di per sé, appare stantia e abusata.

Mi è dispiaciuto per l’autore, perché da scrittrice so benissimo quanto sia difficile scrivere un romanzo. Ma mi sono anche detta che se proprio aveva piacere di utilizzare dei modi di dire almeno li poteva spargere per tutto il testo, dosare in maniera sapiente.

L’effetto di leggere tante frasi fatte tutte insieme è davvero controproducente. E’ sinonimo di mancanza di proprietà di linguaggio. Le parole utilizzate sono quelle attraverso cui interpreta il mondo che lo circonda. Più sono scontate maggiore sarà la sua povertà di immaginazione. Quali storie inventate potrà mai partorire una mente che decodifica l’ambiente circostante con così pochi strumenti?

L’utilizzo di frasi e parole scontate trasmette a chi legge sciatteria, mancanza di accuratezza nella descrizione di personaggi, oggetti, paesaggi ed emozioni. Presentare l’animo di un essere umano non è per nulla facile, implica una capacità di introspezione nonché la padronanza di strumenti linguistici capaci di rappresentare in maniera certosina l’universo interiore dell’essere umano.

Come evitare di creare personaggi scontati per il tuo primo libro

Questo è un consiglio che do per prima a me stessa, in quanto scrittrice esordiente, ovvero l’estrema cura nel costruire il carattere del/della proprio/a protagonista. I nostri scritti, inutile negarlo, sono anche il risultato di quello che leggiamo. Quindi può capitare, soprattutto all’inizio di creare dei personaggi che somiglino molto ad altri già letti, o a quegli archetipi che fanno parte della tradizione narrativa.

Cosa puoi fare allora? Va benissimo se vuoi raccontare dell’eroe canonico, lo rappresenti ovviamente forte, con dei superpoteri, generoso, con l’unica missione di salvare l’umanità. Va tutto bene. Ciò che occorre però per rendere interessante il tuo protagonista, è quello di inserire un ingrediente personale in quella ricetta, tramandatati dai tuoi avi fino ad oggi. Qual è quest’ingrediente?

È tuo personale, può essere il tuo stile, il contesto in cui collochi il protagonista, una componente caratteriale che stride con la struttura da eroe. A te la scelta. Non avere paura di sperimentare. Ricorda che a volte i migliori piatti sono risultato di errori. Non avere paura di sbagliare.

Orlando e le sue esperienze in agenzia, mille avventure prima di trovare quella giusta

Orlando, il protagonista del mio libro, ‘Orlando e il mercato delle parole scontate’, è un’aspirante copy alle prese con le prime esperienze in agenzie di comunicazione.

Le prime volte che interagisce con quel mondo gli sembra tutto molto strano perché l’idea che si è fatto dell’agenzia pubblicitaria, è frutto dei libri studiati sul copywriting. Scopre così di avere idee un po’ obsolete sull’ambiente che lo circonda: la coppia creativa composta dal copy e l’art director, ad esempio, esiste solo in alcune agenzie che producono spot televisivi di fama nazionale. Così come le procedure a cui è tanto legato sembra che siano conosciute e applicate solo da pochi.

Lui per fortuna ha uno spirito guida che gli fa capire con poche frasi, a volte non proprio chiarissime, quale agenzia merita la sua attenzione e quale va scartata subito.

Per noi comuni mortali la situazione è diversa, non abbiamo fantasmi a cui poter chiedere consigli. È la nostra esperienza che fa la differenza e trasforma quelli che sono passi incerti all’inizio in una direzione precisa da intraprendere, in una vera e propriaissione.

Se vuoi arricchire il tuo vocabolario, scrivi!

Quando ho iniziato a scrivere “Orlando e il mercato delle parole scontate“, ho dovuto fare i conti con il mio vocabolario. E questo, intendo la scrittura, credetemi, è il modo migliore per poter arricchire e scoprire nuove parole. Quando raccontiamo una storia, un episodio o noi stessi abbiamo due scelte: eliminare tutto ciò che ci è difficile spiegare per mancanza di termini con cui descrivere quella determinata sensazione, quel determinato oggetto, oppure sforzarci di apprendere nuovi termini per dare vita a racconti che altrimenti saremmo stati costretti ad omettere.

È vero che tale processo avviene anche attraverso la lettura, ma è la pratica la maestra di vita. Quando scriviamo dobbiamo essere il più precisi possibile se vogliamo dare al nostro lettore modo di capire cosa sta succedendo ai personaggi del nostro libro, dove si trovano, cosa vedono, cosa sentono. Se raccontiamo utilizzando termini troppo generici, ci limitiamo a mostrare uno schizzo, il che va bene come anteprima. Ma poi dobbiamo zoomare l’ambiente dove si trova il nostro protagonista, la sua anima, dobbiamo trasformare quello che era un semplice schizzo in un quadro vero e proprio e in quel quadro posizionare anche il lettore, la distanza a cui vogliamo tenerlo, se vogliamo renderlo semplice spettatore o farlo diventare parte integrante di quel quadro.

Se nello schizzo possiamo limitarci a dire che ci sono degli alberi, quando elaboriamo il quadro dobbiamo specificare se si tratta di un pino, di un frassino ecc… Dobbiamo scavare fino a raschiare per essere sicuri di aver fatto tutto ciò che era in nostro potere e conoscenza per dire ciò che intendevamo raccontare.

Dobbiamo accompagnare attraverso le nostre parole il lettore in un universo che seppur nitido nella nostra mente non è detto che quando lo narriamo, lo sia altrettanto per gli altri.

Nella mia mente so che il mio protagonista è alla prese con uno specifico stato d’animo, ma non so descriverlo, sento insieme a lui, ma non sono capace di renderlo a parole. Da questo nasce l’esigenza di scoprire nuovi vocaboli per rappresentare quella realtà nel modo più esatto possibile.

Non omettiamo ciò che non sappiamo narrare, sforziamoci ad imparare nuovi termini, arricchiamo le nostre anime di nuovi significati.

La sensibilità e la scrittura

Per ogni mestiere afferente alla scrittura c’è una procedura ben precisa da seguire. Sei un blogger e prima di mettere nero su bianco devi tenere conto delle parole chiave, immaginare il tuo post diviso in sezioni, con una parte introduttiva in cui spieghi il contenuto principale, una parte centrale dove approfondisci e una parte finale in cui concludi. Ecco quindi che ti ritrovi a seguire uno schema ben preciso, da cui non scappi.

Ogni testo scritto per un sito web, per un’email, per un blog ha delle regole da rispettare.

Se poi sei uno scrittore e il testo che vuoi scrivere è un romanzo, allora le regole da seguire sono più o meno queste: prima di mettere nero su bianco hai bisogno di creare una serie di schede in cui parli della trama, di ogni singolo personaggio, delle azioni principali e via discorrendo.

Tutto questo è come se costruissi una piccola o grande casa di cui definisci ogni piccolo dettaglio. Ed è affascinante per alcune categorie di persone. Sottolineo la parola “persona”, perché prima della professione viene la persona e ci sono persone che hanno bisogno di schemi e procedure perché così sanno gestire il proprio lavoro con più facilità; e persone che hanno difficoltà a realizzare un progetto scritto affidandosi a queste regole.

Il giusto compromesso è quello di studiare schemi, procedure e regole per poi sfruttarle per rendere al meglio un proprio scritto e non diventarne succubi, con il rischio di sentirsi ingabbiati.

Molto del nostro modo di scrivere dipende dalla sensibilità. Ed è una scoperta che ho fatto da poco. Le persone con una spiccata sensibilità non hanno molta dimestichezza con le schematizzazioni, perché hanno una visione d’insieme tale che, quando iniziano a scrivere sanno già dove vogliono andare a parare, senza dover ricorrere a strumenti esterni.

Attenzione non sto esprimendo un giudizio su quale delle due modalità di scrittura sia quella giusta. Come al solito la cosa importante è che funzioni. Non sto nemmeno sposando la tesi che si possono ignorare regole e le procedure, ma sto solo dando una pacca di conforto sulla spalla a chi, come me, non ci si trova proprio a scrivere seguendo schemi preimpostati.

Se si ha la visione d’insieme e istintivamente si sa dove andare a parare, beh allora si può provare a realizzare un progetto scritto e non semtirsi da meno rispetto agli altri.

Molto dipende dalla sensibilità, che ci induce a ragionare con la pancia, per cui quando quest’ultima si mette in moto, siamo sicuri che stiamo creando qualcosa di buono. Le persone con una spiccata sensibilità hanno come strumenti l’istinto e l’estrema reattività al mondo che le circonda. E quando qualcosa mette in moto questi fattori non c’è schema che tenga. Perché scatterà in loro qualcosa che le spingerà a scavare fino a quando non saranno del tutto appagate, a leggere più libri contemporaneamente pur di essere padrone dell’argomento. E solo allora produrranno il loro testo, sicure di aver fatto del loro meglio.

Sono secchione in un modo quasi ossessivo compulsivo, seguono uno schema bulimico, incamerano quante più informazioni possono su un determinato argomento, per poi rigettarle sotto forma di uno scritto personalissimo, perché tutto ciò che hanno appreso, lo hanno interiorizzato.

È un metodo un po’ strong ma non conoscono le mezze misure e non sono per le cose semplici. Devono fare i conti con il loro senso di inadeguatezza costante e per questo sono sempre in continua sfida con loro stessi, per produrre qualcosa di elevato.

Orlando, l’eroe inconsapevole

Ci sono personaggi che sanno di essere eroi e si muovono nella storia in modo sicuro, spavaldo, derminato. Sono esseri dotati di grande fascino e per questo non hanno bisogno di convincere il lettore. Il lettore vede in loro la luce, il riscatto, qualcuno con il quale sicuramente è difficile identificarsi, ma dietro il quale è facile andare, sicuri di essere protetti sempre.

Orlando, il protagonista del mio libro “Orlando e il mercato delle parole scontate“, non vuole essere un eroe, vuole semplicemente lavorare come copywriter in una grande agenzia pubblicitaria. Lo diventa nel corso della narrazione? Forse si, dipende dai punti di vista del lettore. Se il lettore condivide la sua idea di successo, e la sua missione, può riconoscere in lui i tratti di un eroe inconsapevole, se invece non ha la sua stessa visione, gli sembrerà qualcuno che cerca di trovare la sua strada nella vita. Uno come tanti altri.

Orlando eroe o non eroe? Per me Orlando è una persona fortunata, perché scopre la missione della sua vita, quello per cui vale la pena vivere e lavorare. E oggi non è facile. Si parla tanto di far diventare la propria passione un lavoro, ma alla fine chi ci riesce veramente? Sono davvero in pochi. E quindi in questo c’è un non so che di eorico. Perché percorrere una nuova strada abbandonando la vecchia, creare nuovi punti di riferimento pur di inseguire il fuoco che ci arde dentro, è indubbiamente un’impresa avvincente, temeraria, a tratti anche azzardata.

La missione di Orlando consiste nel salvare le parole dall’abuso. E la scopre attraverso il copywriting. La vita però si sa non è lineare e questo vale anche per il mio protagonista. Non sempre infatti può portare a termine questo compito. È un impegno molto difficile, complicato e che riesce a portare avanti in modo intermittente.

Ma lui non demorde e quando la vita gli consente di ritornare alla sua missione non si tira mai indietro e si lancia nei vari progetti con entusiasmo e determinazione.

Sono troppo sintetica per scrivere un romanzo e invece…

Quando ho iniziato a scrivere ‘Orlando e il mercato delle parole scontate“, nell’arco di un mese ho buttato giù circa 50 pagine. E per una come me, che ha il dono della sintesi, era davvero un bel traguardo. Pensavo di aver fatto tutto quello che era in mio potere ma quando l’ho fatto leggere a qualche amico, sono iniziate le critiche.

Il personaggio piaceva e proprio per questo il lettore era avido di dettagli sulla sua vita. C’erano capitoli in cui la descrizione dei fatti era stata così puntuale da portarlo ad identificarsi con ciò che stava accadendo. In altri invece era tutto ridotto all’osso e lasciava il lettore affamato.

Mi chiedevano spesso che colore avessero i suoi capelli, come fosse fisicamente. E tante altre minuzie che avevo tralasciato. E non perché non le sapessi ma, al contrario, ero talmente presa dal mio personaggio, da dimenticare di mostrarlo anche al lettore.

Allora ho ripreso la mia opera che per me era compiuta e ho iniziato a rivedere quelle parti in cui ero stata troppo sintetica. Non dovevo riassumere ma raccontare. E allora con uno sforzo sovrumano ho iniziato ad immaginare la scena. Dove si trova il mio protagonista? Cosa vede attorno a sé? Che relazione ha con quello che vede e quali emozioni gli trasmette? Sono stata a pensare pomeriggi interi, ad ipotizzare scenari plausibili per me e per il lettore. Fino a che non si è sbloccato qualcosa nella mia mente, attingendo alla realtà e alla fantasia e ho saputo dove avrei collocato il mio protagonista e cosa gli avrei fatto vedere, fare, toccare, percepire.

Io non so scrivere il finale…

Lo ammetto, quando arriva il momento di scrivere il finale di un articolo, di un racconto, di un romanzo, non ce la faccio proprio.

Rientro nella categoria degli scrittori che non ha bisogno di scrivere schede di personaggi, buttare giù una road map dei contenuti. No, io poggio le mani sulla tastiera e miracolosamente si crea un ponte tra la mia menta e la mia tastiera, per cui fuoriescono dalle mie dita personaggi, trame, articoli sui più disparati argomenti. È un momento catartico, durante il quale riesco a buttare giù l’intero canovaccio della storia, descrivere situazioni, impostare dialoghi, immaginare come inizia e si sviluppa una storia lunga 100 e passa pagine. Ma, verso la fine, l’immaginazione si blocca, il cervello si spegne e c’è solo il buio pesto.

Per quanto riguarda gli articoli con gli anni ho imparato a trovare la quarta, stufa anche di sentirmi dire: “Bello il tuo pezzo, mancano le conclusioni.”

Però devo essere onesta quelle conclusioni non mi piacciono. Una parte di me fa loro una lotta infinita. Perché concludere significa mettere i paletti, non dare possibilità alternative a quanto detto. E la vita si sa non è per niente fatta di conclusioni. Anzi è una continua nascita. Non si arriva mai ad un punto, oppure quando si raggiunge un traguardo siamo lì pronti ad iniziare un nuovo viaggio.

Con i racconti invece è diverso, posso terminare una storia con un finale aperto. Oppure concederselo quando questo fa riferimento a qualcosa che accadrà poi e per questo non è ancora raccontabile.

Del resto anche come lettrice do poca importanza al finale, a volte lo leggo per primo, perché così posso rilassarmi e godermi il viaggio insieme ai protagonisti del libro.

Chi è Orlando? Vi presento il protagonista

Orlando, il protagonista del mio libro “Orlando e il mercato delle parole scontate” è un ragazzo di provincia il cui sogno è quello di scrivere le frasi della pubblicità. Un’intuizione che ha a 10 anni, mentre guarda uno spot in tv.

Le sue caratteristiche sono sensibilità e determinazione. Vuole fare il mestiere del copy a tutti i costi e non si scoraggia di fronte alle avversità che gli si presentano di volta in volta.

È un ragazzo che trasuda normalità da tutti i pori e forse per questo riesce più facile identificarsi con lui.

La sua natura volitiva lo accompagnerà sempre, dagli esordi ai momenti di gloria, durante il l’allontanamento forzato dal mestiere di copy, fino al momento in cui capisce qual è la sua strada.

In questa era digitale che ci ha abituati a guru del web che si palesano sui social con le loro best performance e i loro successi, Orlando vi mostrerà l’altra faccia della medaglia, fatta di tentativi, insicurezze e fallimenti.

Non solo, Orlando è uno che ci prova fino a quando non trova la sua vera strada, la sua missione personale e per lui questo sarà il successo.

Perché ho scritto un libro?

L’idea del libro “Orlando e il mercato delle parole scontate”, nasce un paio di anni fa, quando avevo l’intenzione di scrivere un ebook dedicato ai copy, in cui parlare delle insidie linguistiche che si presentano sotto forma di canto delle sirene soprattutto quando si è agli esordi.

In quell’ebook c’erano parti “formative” e storie inventate, attraverso le quali rendere meglio il concetto. Facendolo leggere a qualche amico mi sono resa conto che in realtà ciò che piaceva di più erano proprio i racconti. Per cui mi sono detta che forse valeva la pena insistere con il racconto. Ho deciso quindi di abbandonare l’idea dell’ebook formativo e scrivere un testo di narrativa, un romanzo breve, il cui protagonista è Orlando, un aspirante copy che lungo la sua carriera si imbatte in innumerevoli ostacoli e tocca con mano le trappole insite nel mercato delle parole scontate.

Orlando non è un personaggio strong, nei termini in cui siamo abituati a pensarlo oggi. Né fisicamente, né caratterialmente ha la stoffa del leader. Orlando è uno di noi con un grande sogno, quello di diventare copy. E’ soprattutto volitivo. Caratterizzato da tratti a dir poco comici, da grande sensibilità e voglia di farcela, è uno che non molla mai.

Orlando si imbatte in agenzie un po’ strambe, in agenzie famose e in agenzie che fanno il loro lavoro scrupolosamente. Scopre meccanismi esterni ed interni con cui prima o poi qualsiasi copy deve fare i conti. E poi ne esce vincitore. Ma in che modo? Diventando un copy famoso, di successo, come era il suo sogno iniziale? La sua vittoria ancora una volta non è quella canonica, che ci aspetteremmo tutti.

Scrivere questo libro mi ha fatto confrontare con alcuni episodi personali che non potevo non raccontare. E’ stato un po’ faticoso scriverlo perché è capitato in un momento della mia vita in cui tutto è cambiato, in cui sono saltati alcuni punti di riferimento. Credo che questo progetto nasca proprio dal desiderio di rimanere salda, in un momento di grande instabilità. Avevo bisogno di creare dal nulla qualcosa, qualcosa di solo, esclusivamente mio.