Orlando scopre il mestiere del copywriter

La vita di Orlando proseguì apparentemente indifferente al suo sogno di scrivere le frasi della pubblicità, si laureò in lingue all’età di 23 anni, poi seguì un corso per correttore di bozze e all’età di 25 decise che era giunto il momento di mettere a frutto i suoi anni di studio, cercando di piazzarsi sul mercato del lavoro.

La sua ricerca lo portò ad imbattersi in una parola che fin da subito suscitò il suo interesse: copywriter. C’erano una decina di offerte di lavoro al giorno per il copywriter e la cosa lo incuriosì a tal punto da indurlo a capire in cosa consistesse quella professione.

Con suo grande stupore scoprì che tra le tante mansioni del copy c’era proprio quella di: “scrivere frasi per la pubblicità”. La mente lo portò indietro di qualche anno, all’età di 10 anni con precisione, quando aveva visto quello spot in tv e aveva urlato alla madre: “da grande voglio fare quello che scrive le frasi per le pubblicità!”

Senza pensarci su due volte si mise alla ricerca di libri sul copywriting e dei relativi corsi formativi. Incominciò a comprare libri, li divorò come il pane; c’era un mondo da scoprire, da capire, da studiare, approfondire: il fantasmagorico mondo del copy!

Nel giro di poco tempo riuscì a farsi una cultura sufficiente sul mestiere del copy, un ibrido fatto di connotati umani e tanta creatività. Era colui che insieme all’art director produceva spot televisivi, radiofonici o su carta. Creatività geniali, capaci di far smuovere la gente, di indurla ad uscire dalla propria casa per acquistare quel prodotto che avrebbe fatto miracoli sui capelli, sul corpo, contro lo sporco in cucina, per avere quell’auto che l’avrebbe fatta sentire sicura, ricca, potente.

Tutto questo lo faceva il copy, dopo estenuanti riunioni con quelli del reparto marketing, in cui si parlava di prodotto, di indagini di mercato, dopo sessioni di brainstorming con l’art director.

Il copy dopo aver spremuto ben bene le proprie meningi partoriva testi da far girare la testa anche al più cieco dei ciechi.

Sì, era questo che voleva fare, che ogni fibra del suo corpo anelava a fare. Indubbiamente.

La maggior parte degli annunci di lavoro richiedeva abilità nella scrittura e su questo non ci pioveva. Orlando era in grado di far volare le parole, maneggiava con grande maestria tutte le figure retoriche: metafore, allitterazione, ossimori;

padronanza di almeno una lingua straniera e grazie alla sua laurea in lingue soddisfaceva anche questo requisito;

creatività: certo su quella ci si poteva ancora lavorare anche se nel corso degli anni Orlando si era allenato riformulando gli spot televisivi che lo avevano colpito di più, così come si era buttato anche nella creazione di jingle radiofonici, tant’è che i cassetti della sua scrivania straripavano di fogli contenenti idee a volte geniali a volte un po’ banali, ma comunque a testimoniare che non aveva coltivato il suo sogno nel cassetto solo nella sua testa, ma ci aveva lavorato su in un modo che potremmo definire quasi ossessivo.

Abilità della scrittura, lingua straniera, creatività, il tutto veniva ricompensato con una proposta di contratto che oscillava dallo stage in agenzia con il solo rimborso spese al lavoro retribuito con uno stipendio da fame.

Essendo abbagliato dalla possibilità un giorno di vedere la propria firma sotto a spot televisivi e non, sarebbe stato disposto a tutto pur di lavorare in agenzia. Il lavoro da remoto gli puzzava di anonimato. Orlando voleva essere lì, annusare le copertine di giornali su cui erano apparse le pubblicità partorite dalle menti creative dell’agenzia, bramava di partecipare alle riunioni, voleva discutere con i colleghi dell’ultima tendenza made in USA, voleva toccare con mano la scrivania del copy di punta dell’agenzia, vederlo con la testa china sul pc, o mentre era in preda al delirio creativo, fumando una sigaretta dopo l’altra. Cosa avrebbe dato per vivere quell’atmosfera. Al confronto tutti gli altri lavori gli sembravano spenti, inutili.

Dopo aver inviato svariati curricula senza aver ricevuto risposta, arrivò il fatidico giorno anche per lui: una grande agenzia sita manco a farlo a posta nel capoluogo di provincia, distante una trentina di chilometri dal suo paese, lo aveva convocato per uno stage da copy.

Orlando e il suo sogno di scrivere le frasi della pubblicità

Orlando aveva un sogno fin da quando era piccolo, fin dall’età di 10 anni, voleva scrivere per la pubblicità. Strano sogno penserete voi, avrebbe potuto desiderare di fare l’astronauta, il dottore e invece no, il suo era proprio quello di scrivere per la pubblicità,

Un pomeriggio d’inverno degli anni ‘90, mentre mangiava la sua merenda e guardava la tv, vide una pubblicità che gli cambiò la vita: un ragazzino era in preda al panico per il viso pieno di brufoli comparsi proprio una settimana prima della finale di pallavolo che avrebbe dovuto giocare con la sua scuola. Quei brufoli erano per lui come dei mostri che gli avrebbero fatto perdere la sua fama con tutte le ragazze più carine della scuola. Avrebbe rinunciato anche alla finale pur di non farsi vedere con il viso butterato.

A calmare la crisi del ragazzo ci avrebbe pensato  la mamma porgendogli una pomata per l’acne. Il mattino seguente il ragazzo avrebbe iniziato ad applicare la pomata e poi dopo una settimana, con il viso completamente liscio avrebbe finalmente corso felice in campo portando la sua squadra alla vittoria.  Alla fine dello spot, la fatidica frase: “Un vero campione non schiaccia brufoli, schiaccia il pallone”.

Orlando rimase folgorato da quella frase, di fronte a quei giochi di parole la sua mente fece un triplo salto mortale. Corse dalla mamma e urlò: “Mamma da grande voglio fare quello che scrive le frasi per la pubblicità”. La mamma gli sorrise, non capendo molto di quello che aveva detto, e ricambiò il suo entusiasmo accarezzandogli i capelli.

Fai attenzione a dove metti i piedi mentre mi leggi: storie di copy che funzionano

Brevi e coincisi…sintesi, sintesi, sintesi! È questo il mantra dei copywriter, essere brevi, sintetici, racchiudere in poche parole il tov dell’azienda, lo scopo e il pubblico.

Come siamo arrivati a questo?

La risposta è semplice: perché siamo consapevoli che l’attenzione delle persone è sempre di meno; più aumentano le informazioni a cui le sottoponiamo, più è difficile per loro avere spazio e tempo per i nostri messaggi. Vita frenetica, sovraccarico di notizie, distrazioni continue, device, piattaforme social: un messaggio per arrivare all’utente deve farsi largo tra un bel po’ di cose. E allora pensi, e questo è più che naturale, che devi urlare per farti sentire, ma così poi finisci per infastidire non per attrarre l’attenzione. Incuti timore e sortisci l’effetto opposto, ovvero l’utente fugge invece di fermarsi.

Però in tutte queste considerazioni che abbiamo fatto io e te, mio caro lettore, credo ci sfugga qualcosa: come mai i clienti, il pubblico, l’utente è pronto a farsi distrarre da tremila messaggi, da nuove app, nuove piattaforme social tranne che dal nostro messaggio?

E qui casca l’asino! Al contrario di quanto si possa pensare la gente non vede l’ora di essere distratta, incuriosita, distolta da quello che sta facendo. E l’asso nella manica non è per forza la sintesi. Al contrario ci sono dei copy di pubblicità storici o contemporanei, lunghissimi, che hanno avuto un enorme successo.

La gente è affamata di novità, è avida di qualcosa che la incuriosisca e la induca a fermarsi o che, mentre cammina, la faccia inciampare perché le ruba totalmente l’attenzione.

Non c’è guerra tra il copy breve o lungo, il punto non è questo, ma è quello di scrivere un messaggio per cui vale la pena fermare il proprio ritmo frenetico quotidiano e dedicare qualche minuto a cogliere un messaggio che ci ispira, ci rende migliori, ci fa immedesimare.

Prendiamoci le nostre responsabilità, non è colpa della lunghezza del testo, né delle parole che utilizziamo, ma è di come vogliamo creare un messaggio che irrompa nella quotidianità delle persone e le faccia cadere, inciampare, voltare la testa, sorridere, riflettere, innamorare.

Quando i nostri annunci dovranno chiedere scusa per aver distratto o rubato tempo alle persone, per averle fatte fermare, allora potremmo essere fieri di aver partorito un grande annuncio, lungo o corto che sia.

Quando le parole si ammalano, tocca a noi averne cura

Ho iniziato da poco una nuova lettura, sono proprio alle primissime pagine, quindi ve ne parlerò approfonditamente quando l’avrò finita. Si tratta del libro “Parliamoci chiaro” di Daniele Trevisani che spiega il Modello delle quattro distanze attraverso il quale si può mettere in atto una comunicazione efficace e costruttiva.

All’interno della prima pagina ho trovato la citazione del Monaco buddhista vietnamita Thic Nhat Hanh: “le parole possono ammalarsi, dobbiamo disintossicarle e riportarle alla piena salute.”

Questa frase mi ha fatto riflettere in quanto chi fa il mestiere del copy o del blogger o qualsiasi altro mestiere che ha a che fare con le parole, ha sempre a cuore il tema della cura delle parole.

Quando si usano le parole per rappresentare un’azienda, un prodotto, un’idea, per raccontare una storia, la scelta dovrebbe essere sentita come una grande responsabilità. Tutti coloro che lavorano con le parole dovrebbero avere un approccio cauto, come se stessero maneggiando un oggetto fragile. Dovrebbero essere consapevoli che quel determinato aggettivo con cui hanno deciso di connotare un prodotto non è altro che una delle mille sfumature possibili. E che l’affermazione di quel determinato aggettivo, escludendone altri, è quasi un atto di presunzione.

Quando manca il rispetto delle parole, abusiamo di loro, nel significato più drammatico che ci possa essere, ovvero operiamo nei loro confronti una vera e proprio violenza che prima o poi le indurrà a morte certa. Una parola muore ogniqualvolta diventa priva di significato, quando non sortisce più alcun effetto in chi la ascolta ma anche in chi la pronuncia. Le parole sono ciò che ci avvicina agli altri, ciò che accorcia le distanze fisiche e culturali. Ecco perché bisogna saperle utilizzare con cura. E qualora si abbia il sospetto che un atto di violenza venga compiuto dobbiamo adoperarci a dare salute a quella parola e. se moribonda. a darle nuova vita.

Con tutte le parole abusate si potrebbe scrivere un dizionario intero, che risulterebbe pieno di parole e privo di significati, perché quelle parole sarebbero spente, quasi invisibili. L’aziendalese, il politichese, il settore marketing, ogni ambito della vita umana è caratterizzato da un dizionario delle parole abusate. Anche il tuo personale, quotidiano, quello che utilizzi per parlare con i tuoi famigliari, i tuoi colleghi, i tuoi amici, ne è pieno zeppo.

Ognuno di noi dovrebbe indagare sul proprio modo di utilizzare le parole e imparare a gestirle in maniera più opportuna, proprio come si fa con un oggetto di valore, con qualcosa che per noi è di vitale importanza. Le parole sono un nostro potentissimo strumento che ci consente di comunicare al mondo ciò che siamo e allo stesso tempo sono un mezzo di accoglienza che accorcia le distanze.

Diamoci dunque, tutti quanti, questo  grande obiettivo per il nuovo anno: “Impariamo a maneggiare le parole come se fossero diamanti nelle nostre mani.”

Buone feste a tutti

Come creare contenuti unici tenendo conto del contesto dei propri lettori

La soluzione per creare contenuti unici quando l’argomento è stato già trattato innumerevoli volte, è quella di rapportare il contenuto al contesto dei propri lettori, in questo modo esso acquista grande valore ai loro occhi.

Ciò che è tecnico è inconfutabile. Sta lì così com’è e tu non puoi cambiarlo.  Prendiamo ad esempio le features di un app: sono quelle, c è poco da fare , da inventarsi cose originali, diverse da quanto hanno già scritto i tuoi esimi colleghi blogger. Oppure pensiamo a tematiche legislative o alle tecniche di marketing: difficile essere originali quando già tutti gli altri hanno parlato e straparlato di quell’argomento.

E allora cosa puoi fare per creare contenuti originali? Signore e signori ecco la seconda più grande sfida per un blogger, quella di cui vi parlerò in questo post, dando la mia umile soluzione.

In che modo un blogger può rendere originale un argomento “tecnico” di cui hanno già parlato tutti? Nel corso degli anni ho trovato la mia risposta a questo quesito e si chiama contesto. Quando contestualizzi un argomento tecnico, lo rapporti al mondo reale, a quella che è l’esperienza dei tuoi lettori, alle problematiche che potranno incontrare, alle possibili soluzioni che quella determinata app, quella legge, quella tecnica di marketing può fornire loro, il valore del testo sale enormemente.

Quando si parla del contesto all’interno del quale applicare quel determinato “argomento” la percezione da parte del lettore cambia radicalmente: si rende conto che quel testo è stato cucito su misura per lui, sul suo lavoro, sulle sue esigenze e per lui acquista un grande valore.

Quando ho iniziato a scrivere di inbound marketing, mi sono sempre chiesta in che modo potesse essere utile alla scuola di cake design che frequento o alla palestra, o al parrucchiere. Mi sono messa nei panni dei proprietari di quei business, Marta, Francesco, Nick e ho pensato a loro mentre scrivevo.

Cosa può interessare al pubblico di Marta che ha aperto da poco una scuola di cake design? Quale contenuto può essere d’aiuto ai lettori del suo blog ed invogliarli a frequentare il corso? Ci sono delle categorie di clienti che vorrebbero frequentare il corso ma non possono perché sono mamme a tempo pieno con bimbi piccoli? E allora per queste “personas” cosa può fare Marta? Può forse offrire loro inizialmente dei video tutorial gratuiti? Per poi spingere all’acquisto del corso online?

Chi mi segue sa che sono un’appassionata del mondo della comunicazione, da un po’ studio anche lo storytelling. E mi è capitato di recente di dover coniugare quest’argomento con il mondo dell’immobiliare.

Avete letto  di recente qualche annuncio immobiliare? Sono tutti uguali, sterili. Le persone che acquistano una casa, sognano una nuova vita, quella che potranno realizzare proprio grazie ad una nuova casa. E allora perché nelle descrizioni degli immobili continuiamo ad infrangere questi sogni con un linguaggio sterile?

Il contesto è tutto, rende facile spiegare le cose, anche le più difficili. Quando applichiamo una tecnica di marketing, una legge, un’ app, a business reali, piccoli o grandi che siano, è proprio in quel momento che essi acquistano valore.

Onestamente non ne posso più di leggere post pieni zeppi di statistiche, grandi previsioni del futuro, che riportano come esempio Amazon, Nike, Coca-cola. Voglio leggere di Pino che ha aperto da poco una caffetteria, di Angela e Marta che hanno un’agenzia di viaggi.

Il contesto è, secondo me, la soluzione, quella che consente ad un blogger di partorire, testi originali che sanno di verità e realtà.

La sfida n. 1 di un blogger: l’argomento sconosciuto.

Cosa fai nella vita? Sono blogger. Figo. Eh già fighissimo.  Ma oggi non voglio raccontarti della mia passione per la scrittura, di quanto ami questo mestiere. No. Voglio raccontarti di una grande sfida, quella che ogni blogger prima o poi si trova ad affrontare: l’argomento sconosciuto, ignoto, ignorato. In sintesi:  prima che ti venisse proposto non ne conoscevi l’esistenza. 

La scena è più meno questa: ti arriva un’email per un nuovo lavoro. Sei ovviamente entusiasta, pronto a partorire il pezzo più cool di tutti i blog del mondo. Ma quando leggi la tematica e ti rendi conto di non saperne un bel niente, la tua reazione è di choc totale. 

Resti li davanti al monitor del tuo pc a fissare l’email che contiene il famigerato tema che TU, si proprio TU,  dovrai affrontare minuziosamente. Dopo i primi minuti di choc ti alzi, vai verso lo specchio e ti ripeti: “Io posso scrivere anche di questo fottutissimo argomento! Ce la posso fare!”

Vedendo che il mantra ha poca efficacia, passi al piano b:  ti lanci in una ricerca forsennata di fonti da cui attingere sul tuo amico web. Tuttavia più leggi e più ti rendi conto che ti mancano le basi e allora, fiducioso più che mai ripieghi  sul piano C: con passo fiero e deciso ti fiondi in libreria (reale o virtuale che sia) alla ricerca del LIBRO. Quello che ti cambierà la vita, che ti consentirà di conoscere e approfondire l’argomento in tutte le sfaccettature che ti interessano.

E dal momento che la fortuna aiuta sempre i blogger studiosi, lo trovi, lo compri e torni a casa speranzoso più che mai. 

Nel frattempo le lancette dell’orologio scorrono più veloci che mai, per cui la lettura che ti eri immaginato, sdraiato comodamente sul divano, con una bella cioccolata calda, diventa una gara contro il tempo in cui cercherai di assorbire più nozioni possibili in pochissime ore.

Dopo aver letto il libro vorresti avere almeno quei due tre giorni di tempo per farlo sedimentare nella tua testa. Ma TU non hai tempo. E allora dopo una doccia rinfrescante e l’ennesimo caffè, ti senti finalmente pronto a scrivere. Le tue dita fremono, sono pronte anche loro a digitare il pezzo più cool, più dignitoso che abbia mai potuto scrivere. Ritorni al tuo pc, guardi di nuovo quell’email, apri il tuo editor e inizi la tua avventura.

E finisce sempre così, perché si sa, per un blogger che si rispetti, un tema sconosciuto è la nuova sfida cerebrale, quella che in cui misura la sua capacità di entrare in un mondo nuovo, esplorarlo, sviscerato, farne parte, amarlo, per poi donarlo agli altri sotto forma di post.”

Come peggiorare la customer experience per soli 10 centesimi

Oggi, come tutti gli altri giorni, sono andata al supermercato. Come al solito l’ intenzione era quella di comprare un paio di cose, ma poi ho riempito il carrello per un totale di 52 euro. Sono giunta alla cassa e mentre riponevo il pane nel mio sacchetto, ho notato che la confezione era aperta e rotta ed ho chiesto alla cassiera se poteva darmi una busta per evitare che il pane cadesse da tutte le parti. Poiché aveva già passato la carta, e il pagamento era stato effettuato, ha guardato il monitor della sua cassa un po’ perplessa e poi ha sentenziato: ” I 10 centesimi della busta non li può pagare più con la carta, ma li deve pagare in contanti.”

Non ho battuto ciglio, ho pagato i miei 10 centesimi e sono andata via. Con l’amaro in bocca per un paio di motivi in particolare:

  1. La confezione del pane si è rotta non per colpa mia ma perché evidentemente nel reparto del pane non è stata chiusa bene. Lo do per certo dal momento che capita spesso. Quindi in questo caso l’errore è del supermercato.
  2. Proprio in virtù di quanto detto e dal momento che si trattava di soli 10 centesimi e non di 1 euro, la cassiera avrebbe potuto regalarmi la busta nuova come gesto di cortesia visto il disservizio causatomi.

Mi sono detta: “Era così difficile fare questo ragionamento?” La risposta che mi sono data: “Si, per alcune persone, la situazione non è chiara come lo può essere per altre.” La cassiera del supermercato si è inceppata come un vero robot. Ora non credo sia un fatto caratteriale, ma un fatto di approccio al lavoro. Se lo si interpreta come quello di un robot, allora non fa la differenza nulla: né che una cliente sia una cliente affezionata, né che l’errore sia stato commesso dal supermercato. Nulla fa la differenza. E tutto si riduce ad un semplice ragionamento: “Mi hai chiesto una busta in più? Te la do se me la paghi” Anzi mi stai anche costringendo a fare un ulteriore sforzo perché ora devo inserire in cassa un pagamento di 10 centesimi effettuato con modalità diversa da quello con cui hai pagato il resto della spesa.

Se io fossi stata sulla stessa lunghezza d’onda della cassiera avrei dovuto farle togliere dal conto il pane, oppure pretendere che mi fosse cambiata la confezione, facendo perdere tempo alle persone in attesa che mi avrebbero guardato in cagnesco.

Ho preferito quella che mi sembrava la soluzione più semplice. Non ho costretto la cassiera a togliere il pane dal conto, non ho fatto perdere tempo alle persone in fila, e alla fine ci ho rimesso 10 centesimi. 

La cassiera in questione si è comportata come se fosse un robot, non ha tenuto conto di tutte le considerazioni summenzionate, ed il risultato è stata una customer experience pessima. Sono uscita dal supermercato con la percezione che i miei problemi come cliente non solo non esistevano agli occhi della cassiera, ma se volevo risolverli dovevo anche pagare! 

 

L’uomo e la città straniera: una storia di odio e amore. L’uso dei registri linguistici nello storytelling

#lastoria

Ero da poco in una nuova città. La esploravo, la annusavo, la sentivo. Lei, la città, si concedeva e si negava allo stesso tempo. Io insistevo, la scoprivo a poco a poco attraverso la sua gente, le sue tradizioni, le sue feste.

Ero alla ricerca della mia verità in quella città. Una verità che cercavo nei musei, nelle chiese, nei palazzi, nei bar, nei ristoranti.

I miei sensi erano attivi e scattanti come un guerriero pronto all’attacco. La vista, più acuta del solito, alla ricerca di panorami inesplorati, l’olfatto arzillo, pronto a cogliere gli odori più caratteristici, il gusto, sensibilissimo, immerso in sapori del tutto nuovi.

E più scoprivo e più ne volevo ancora di quella città, difficile da espugnare.

E finalmente oggi è arrivato quel giorno. Io e lei, la città, abbiamo deposto le armi. Lei mi ha accolto nel suo ventre, pronta a partorirmi come un suo figlio naturale e legittimo. Ora lo posso urlare: “Sono cittadino di questa città!”

#analisi

Le parole sono importanti. Per uno storyteller conoscerne il valore, soppesarlo e scegliere quelle giuste, è fondamentale. In nostro aiuto vengono i registri linguistici che ci consentono di determinare il tono di voce di un testo e di trasmettere significati e valori.

Esistono sette grandi registri linguistici che ho studiato nel libro di Andrea Fontana Storytelling for dummies, a cui attingere per il tuo testo. Nella figura che segue sono descritti registri, obiettivi, sentimenti, valori e le parole che li determinano.

Esaminando il mio testo in esso si fondono due registri, quello amoroso e quello militare.

Il registro militare si evince dall’uso delle parole “cacciatore“, “espugnare“, “sensi attivi“, “guerriero pronto all’attacco“, “deposto le armi“. Quello amoroso è invece sottolineato da parole quali “la annusavo”, “la sentivo“, “la esploravo“, “mi ha accolto nel suo ventre

La lotta tra i due protagonisti, tra l’uomo e la città, è a metà tra una battaglia vera e propria e una schermaglia amorosa, dove l’uomo assume il ruolo di predatore/guerriero e la città, il ruolo della donna ritrosa che, ostentando un atteggiamento diffidente, a volte si concede e a volte si nega.

L’obiettivo del testo è quello di suscitare emozioni forti, quelle scatenate dalla lotta per la conquista di un senso di appartenenza, dalla difficoltà di adattarsi in una città sconosciuta ed infine dall’accoglienza da parte di quest’ultima.

La schermaglia amorosa al termine del racconto sublima nel rapporto d’amore per eccellenza, quello tra madre e figlio, l’unico che simbolicamente rimanda ad un’accoglienza totale.

La scelta del registro linguistico va studiata con attenzione, possono essere combinati anche più stili contemporaneamente come si evince dall’esempio summenzionato.

Ora tocca a te… pensa al tuo racconto, ai suoi obiettivi, al modo in cui vuoi coinvolgere il pubblico, ai sentimenti che vuoi suscitare. In base ad essi scegli il registro linguistico che più si adatta al tuo obiettivo. In bocca al lupo!

Buongiorno #storyteller, aspiranti storyteller, amanti delle #narrazioni. Vi siete mai chiesti perché le storie sono così potenti? Le storie sono in grado di stimolare le parti sensoriali del nostro cervello. #poteredellenarrazioni

#citazioni di #storytelling

Buongiorno #storyteller, aspiranti storyteller, #blogger, amanti della #narrazioni! Oggi voglio condividere con voi questa citazione del libro di Carmine Gallo “Comunicare come Steve Jobs”: siamo tutti chiamati a “venderci” nel nostro quotidiano anche se non si tratta di una mega conferenza, come gli eventi TED. Siamo pronti a dare la migliore presentazione e rappresentazione di noi stessi?